Formazione in servizio per le Indicazioni I ciclo

Con la circolare n. 49/2014 il Miur ha messo a disposizione delle scuole nuovi finanziamenti per la prosecuzione delle misure di accompagnamento alle Indicazioni I ciclo. Potranno essere finanziate ex-novo nuove reti oppure ri-finanziate (a determinate condizioni) reti già attivate. Un secondo motivo di interesse è dato dall’estensione del progetto verso il biennio delle superiori. Scadenza nuovi progetti: 3 dicembre. Di Giancarlo Cerini.

 

 

Le misure di accompagnamento, anno II

Con la circolare n. 49 del 19-11-2014 il MIUR ha messo a disposizione delle scuole nuovi finanziamenti (in verità non molti, ma le finanze pubbliche sono allo stremo) per la prosecuzione delle misure di accompagnamento alle Indicazioni per il 1° ciclo. Nell’a.s. 2013-14 (ma le attività sono ancora in corso) oltre 400 reti di scuole si erano costituite per dare attuazione a quanto previsto dalla precedente nota del MIUR (la cm 22/2013), impegnandosi in attività di ricerca e formazione.

La notizia, per altro attesa, va salutata con favore. Potranno essere finanziate ex-novo nuove reti oppure ri-finanziate (a determinate condizioni) reti già attivate. Quando un’attività di formazione diventa pluriennale, allora significa che acquista consistenza, continuità di lavoro, serietà. Un piano formativo così rilevante (perché potenzialmente coinvolge gli oltre 400.000 insegnanti in servizio nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie) dovrebbe durare dai 3 ai 5 anni. Intanto, però, si gira la boa del primo anno e si prosegue.

Un secondo motivo di interesse è dato dall’estensione del progetto verso il biennio delle superiori, quasi a disegnare un ideale arco curricolare dai 3 ai 16 anni. Un arco molto ardito, che però risponde all’idea di un percorso di base coerente e unitario, che ha un punto di conclusione con il termine dell’obbligo di istruzione. I progetti di formazione per i docenti del 1° ciclo vanno dunque aperti ai colleghi del 2° ciclo, impresa non facile, ma di alto valore simbolico.

Un terzo punto di attenzione riguarda il focus sulle “competenze”. Si tratta di un leit-motive delle Indicazioni, ma non sempre si è tradotto in pratica didattica coerente (progettare per competenze, fare didattica per competenze, valutare per competenze). Poiché è imminente l’uscita di modelli nazionali (da sperimentare) per la certificazione delle competenze al termine della scuola primaria e della secondaria di I grado, è auspicabile che le reti che si candidano a ricevere finanziamenti (sia nuovi, sia in prosecuzione) possano scegliere tra i temi prioritari quello della didattica per competenze. Se si devono certificare le competenze, è necessario a ritroso, verificarne l’acquisizione, promuoverle nei contesti di apprendimento, progettarle.

Il cantiere aperto delle Indicazioni è un’occasione preziosa per sollecitare azioni formative, microsperimentazioni didattiche, messa a fuoco di questioni organizzative, investire sulla professionalità. Insomma, i temi tipici della “Buona Scuola” (documento governativo del 3 settembre 2014) qui hanno la possibilità di essere messi concretamente alla prova nella realtà della scuola di base.

Vediamo allora di riprendere gli elementi qualificanti delle misure di accompagnamento.

 

Indicazioni, curricolo di base e misure di accompagnamento

Intanto si parla di “Indicazioni” e “curricolo”. Nello scenario dell'autonomia viene richiesto alle scuole non di applicare passivamente i programmi didattici stabiliti centralmente, ma di elaborare un proprio curricolo, cioè una proposta formativa che rispetti gli essenziali elementi prescrittivi fissati dalle Indicazioni Nazionali (riferiti in primo luogo ai traguardi di competenza per ogni disciplina) e li contestualizzi sui bisogni rilevati e sulle reali condizioni del fare scuola (DM 254/2012). Le misure di accompagnamento delle “nuove Indicazioni” per il primo ciclo (avviate lo scorso anno con la CM 22/2013 e rilanciate quest’anno con la CM 49/2014), dunque, sono affidate alle scuole, e alle loro reti, in coerenza con il concetto di Indicazioni PER il curricolo che rimanda alla centralità delle scelte e dell'iniziativa degli operatori scolastici.

Il piano di formazione previsto dalle “misure” ha un suo sviluppo pluriennale, ma patisce l’esiguità delle risorse investite (1,6 milioni lo scorso anno, poco più di 1 milione questo). Questo consente di coinvolgere solo una minoranza di scuole aggregate in rete, con iniziative rivolte a piccoli gruppi “selezionati” di docenti provenienti dalle scuole della rete.

Tuttavia, le misure di accompagnamento non si esauriscono nel semplice allestimento di corsi di formazione, sia pure in una ottica laboratoriale, ma comprendono una pluralità di azioni, come si evince dal documento “Accompagnare le Indicazioni” (2013), elaborato dal Comitato Scientifico Nazionale (CSN), organismo tecnico che ha il compito di coordinare l’attuazione delle Indicazioni, in raccordo con appositi Staff regionali, costituiti presso ogni USR. Infatti, si tratta di assicurare:

  • informazione e prima conoscenza del testo;
  • formazione, confronto, approfondimenti;
  • attivazione di gruppi di ricerca didattica;
  • azioni di monitoraggio e verifica;
  • documentazione degli esiti e disseminazione di buone pratiche.

In molte regioni gli staff hanno promosso relazioni inter-istituzionali, collegamenti e sinergie con iniziative parallele promosse da Enti locali, Regioni, associazioni, istituti scientifici, in modo da offrire un plafond più ampio di quello assicurato dai finanziamenti ministeriali.

 

I laboratori di ricerca-formazione

Anche nella nuova circolare (CM 49/2014) l’elemento qualificante è l’attivazione di reti di scuole (costituite da 4-6 scuole associate) interessate a dar vita a laboratori di formazione/ricerca per piccoli gruppi di  insegnanti, fortemente motivati a mettere a punto e sperimentare pratiche didattiche innovative, coerenti con le Indicazioni. Ogni laboratorio è costituito da circa 15-20 docenti, provenienti preferibilmente da diversi ordini e gradi scolastici, che mettono al centro del loro lavoro aspetti specifici di una disciplina (o un aspetto trasversale) nelle sue ricadute didattiche: ad esempio, come costruire un percorso verticale per l’arricchimento della competenza lessicale, musicale, scientifica, ecc. Si dialoga tra colleghi, con l’aiuto di un tutor (cioè di un docente “esperto”) individuato dalla rete.

Il modello è quello della ricerca-azione, che chiede di “provare e riprovare” se le ipotesi di intervento didattico studiate nella formazione (e derivate dalle migliori esperienze di cui sono portatori i docenti partecipanti) siano praticabili in classe e quali esiti producano. E' necessario un tutoraggio in itinere, magari affiancato da una “peer review”, cioè una osservazione reciproca tra insegnanti, per capire dal confronto come migliorare le proprie azioni didattiche. Un laboratorio può avere la durata di 6 mesi circa e implicare un impegno di 25 ore, comprendendo anche i tempi della micro-sperimentazione, dell’osservazione, della documentazione.

La novità di quest’anno è la raccomandazione di aprire i laboratori anche ai docenti del 2° ciclo (biennio obbligatorio). Infatti i fondi per le Indicazioni erano inizialmente “prenotati” per corsi da rivolgere a docenti i cui allievi avessero risultati critici nelle prove Invalsi o Pisa: la risposta migliore non è quella di inseguire le emergenze segnalate dai test, ma di fare un investimento in profondità, appunto lavorare per consolidare le competenze di base, in una ottica di continuità del curricolo.

 

Il doppio gioco discipline-trasversalità

Nei laboratori di ricerca e formazione si affrontano le questioni cruciali poste dalle “nuove” Indicazioni, sia nelle sue dimensioni disciplinari, sia negli aspetti più trasversali. Ogni disciplina del curricolo nazionale (sono dieci, con la variante dei cinque campi di esperienza della scuola dell'infanzia) presenta non solo contenuti significativi, repertori di conoscenze e concetti, ma anche linguaggi specifici, dispositivi metodologici ed  ermeneutici. Per questo le Indicazioni Nazionali sono strutturate per discipline: alcune sono forse più “portanti” di altre (pensiamo al valore veicolare di lingua, matematica, e non solo perché sono “testate” dalle prove INVALSI), ma ciascuno offre materiali e strumenti per l'educazione  al pensare e al comprendere (nel senso “bruneriano” dei termini).

Le Indicazioni propongono una  rivisitazione dei saperi scolastici che accentua il loro valore “formativo”, con una più chiara progressione verticale, con una più sicura definizione dei traguardi, attraverso un approccio metodologico coerente con una idea costruttivista di conoscenza.

Per ottenere nei fatti questo risultato le “discipline” devono essere “trattate” con gli ingredienti pedagogici suggeriti dalle indicazioni, per:

  • costruire ambienti di apprendimento in cui prevalga una dimensione di ricerca, rielaborazione, iniziativa degli allievi;
  • distendere gli apprendimento in una ottica verticale, per cogliere elementi di continuità e discontinuità (il curricolo è “ricorsivo”, a spirale, per innestare sugli apprendimenti consolidati nuove esperienze e nuove ri-partenze cognitive);
  • promuovere didattiche operative, basate su compiti di realtà, situazioni-problema, simulazioni, per superare l’ancoraggio alla sola lezione frontale;
  • impostare la valutazione in termini formativi, superando la semplificazione dei voti, per descrivere gli apprendimenti, osservare i processi (con apposite rubriche), sollecitare consapevolezza e meta cognizione negli allievi.

Ci si muove dunque nell’ottica delle competenze, un costrutto “qualitativo” che offre una visione dinamica dell’insegnamento e dell’apprendimento.

 

I progetti di rete

Anche i nuovi progetti (o la prosecuzione di quelli in corso) dovranno essere attuati in rete, aggregando scuole di diverso grado (compresi i bienni delle superiori).

 

Un buon progetto di formazione sperimentale deve rispondere ad alcuni indicatori di qualità:

1) la pertinenza del progetto rispetto ai punti pedagogici forti delle Indicazioni (curricolo verticale, ambiente di apprendimento, didattica per competenze, valutazione) intrecciati con alcune “discipline” (o aree);

2) la coerenza metodologica (la formazione che diventa ricerca) dell'intero percorso progettato;

3) l'impegno interno della scuola a “investire” sulla formazione dei docenti partecipanti (agibilità nella partecipazione, eventuali incentivi);

4) la corretta utilizzazione delle risorse assegnabili e l'eventuale presenza di risorse aggiuntive (interne alla scuola o esterne, da enti locali o sponsor);

5) la connessione delle attività formative con le ricadute interne per tutta la comunità professionale;

6) le motivazioni delle scelte compiute e la storia “formativa” dell'istituto (cioè un percorso che si inserisca in una prospettiva non estemporanea).

 

Costruire comunità professionali

Una formazione in servizio che voglia tradursi in ricerca didattica è una attività che necessariamente si rivolge a piccoli gruppi di docenti motivati. Ma si può pensare ad una “ricaduta” di attività esemplari anche verso il resto dei docenti, attraverso modalità non necessariamente di routine (come potrebbe essere un semplice resoconto al collegio dei docenti), ma con iniziative più dinamiche come potrebbero essere work-shop, mercatini della didattica, fiere delle buone pratiche, produzioni multimediali, appunti di lavoro, web-community….

L’obiettivo che accomuna i laboratori di ricerca-formazione è quello di mettere in moto energie e motivazioni, cominciando a costruire nei fatti quell’idea di comunità professionale che campeggia nelle Indicazioni/2012, e che fa immaginare un ambiente scolastico ricco di relazioni collaborative, orientate alla innovazione metodologica e didattica, alla crescita di insegnanti e allievi.

Dunque risultano necessarie figure di riferimento (chiamiamole provvisoriamente: formatori, tutor, coordinatori della didattica, mentor, ecc.) capaci di trascinare i colleghi verso l’innovazione e di garantire un necessario supporto di vicinanza, collaborazione, esemplarità.

Queste figure devono essere adeguatamente formate e per esse dovranno essere garantiti i necessari riconoscimenti in termini giuridici, professionali ed economici. E’ questo uno dei capitoli che si potrebbe aprire con le suggestioni della “Buona Scuola”.

Intanto, però, ci compete realizzare una “Buona formazione” utilizzando a tal fine le risorse e le indicazioni contenute anche nella recente CM 49/2014.

 

Giancarlo Cerini

(Membro del CSN-Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni/2012)