Concorso: un ritorno al futuro…

Si è messa in moto la complessa macchina che ripristina, dopo una stasi di oltre 10 anni, le procedure concorsuali per accedere ai ruoli di insegnante, in ogni ordine e grado di scuola.

 

Un nodo “gordiano” reciso…

L’operazione è accompagnata da forti polemiche, perché l’indizione dei concorsi, che risponde ad una precisa scelta del Ministro Francesco Profumo, si colloca in una situazione di crisi economica e finanziaria che fa sentire i suoi pesanti effetti nel campo occupazionale (e della spesa pubblica), anche in relazione agli occhiuti rilievi della spending review sulla scuola. E anche il consenso “popolare” verso l’immagine del pubblico dipendente, ivi compreso quella dell’insegnante, non è dei migliori (ma forse non è stato nemmeno coltivato nelle dovute maniere).

È evidente che lo scenario per il reclutamento dei nuovi insegnanti è destinato a rimanere un fronte “caldo”, se non si riuscirà a ripristinare un ricambio fisiologico dei docenti, assicurando prospettive occupazionali sia ai giovani aspiranti alla professione, sia a coloro che da parecchi anni prestano servizio con incarichi a tempo determinato nella scuola italiana. Giovani contro anziani, precari contro garantiti, figli contro padri: sono nodi insoluti del sistema-paese e non solo del sistema-scuola. Sta di fatto che la “curva” che rappresenta la distribuzione per classi di età degli insegnanti italiani assume la configurazione di un’onda “anomala” che ha il suo apice verso i 57 anni: un dato che ci allontana clamorosamente dall’Europa, dove l’età media dei docenti è di gran lunga inferiore.

 

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È necessario immettere nuove energie nel sistema. Tutti condividono il principio. Ma il “lodo” ipotizzato per il reclutamento (che risponde ad una norma collaudata da decenni sul “doppio canale”), che riserva il 50% dei posti ai concorsi ordinari ed il 50% allo scorrimento delle graduatorie permanenti, viene da molte parti contestato, tuttavia appare - al momento - una soluzione che cerca di contemperare i diversi interessi in gioco e le legittime aspettative di chi aspira ad entrare nella scuola con un incarico a tempo indeterminato. Questione spinosissima, che “paralizza” organizzazioni sindacali e forze politiche, ma che richiedeva una decisione politica del Governo, che alla fine c’è stata.

Si dirà che gli effetti pratici sono di scarso rilievo, che i posti messi a concorso sono assai pochi, che intere aree disciplinari e molte regioni sono escluse da questo primo giro di opportunità, ma l’obiettivo - pensiamo - era anche di carattere “simbolico”: dare un segnale all’opinione pubblica che l’accesso alla professione di insegnante avviene dopo una selezione di merito, che i “migliori” devono avere la possibilità di entrare presto nella scuola e che tutto ciò non deve “tradire” le aspettative che si sono create per i “precari”, attraverso l’istituzione delle graduatorie permanenti ad esaurimento. Una difficile quadratura del cerchio, che si auspica non sia la Magistratura a dover dirimere. Si dimostrerebbe, ancora una volta, che il nostro paese non è in grado di governare la complessità sociale di oggi, con saggezza ed equità.

 

 

“Insegnanti sufficientemente buoni” (Winnicot)

Stante i dispositivi di legge, l’accesso al ruolo docente avviene attraverso una procedura concorsuale (perché, come recita l’art. 97 della Costituzione, l’accesso agli uffici pubblici avviene per pubblico concorso). Dunque era necessario recuperare e se possibile rinnovare un meccanismo che, nel nostro Paese, non ha brillato per efficacia e tempestività. Attese estenuanti, procedure complesse, meccanismi tortuosi, folle di aspiranti: quante volte il nostro immaginario è stato colpito negativamente dai concorsi pubblici, quasi quanto le bacheche delle edicole che promettono a caratteri cubitali posti lavori nel settore pubblico.

Se è difficile selezionare persone per accedere a qualsiasi posto di lavoro, la questione diventa ancora più delicata nel campo dell’educazione, perché ad un insegnante si chiedono competenze al di sopra dell’immaginabile, sol che si legga qualche profilo professionale rilanciato dai documenti internazionali.

 

Tabella 2 - Gli insegnanti efficaci: una check list dell’Ocse

- accuratezza nella preparazione delle lezioni;

- selezione appropriata dei materiali;

- definizione chiara di obiettivi agli studenti;

- mantenimento della disciplina in classe;

- costante verifica del lavoro degli studenti;

- ripetizione della lezione in caso di difficoltà;

- buon uso del tempo;

- fiducia nelle capacità di apprendimento degli studenti;

- convinzione della propria responsabilità nell’apprendimento degli studenti;

- condivisione degli scopi dell’istruzione con i colleghi;

- forte impegno nel successo degli studenti;

- strette relazioni collegiali;

- flessibilità, creatività, adattamento delle proprie capacità di insegnamento ai bisogni degli studenti;

- uso di diverse strategie di insegnamento;

- uso di diversi stili di interazione,

- chiarezza espositiva e argomentativa;

- comportamento orientato all’impegno;

- uso dei suggerimenti e delle idee degli studenti.

 

Fonte: Documento citato nell’accordo Miur - Aran - Organizzazioni sindacali, 18 dicembre 2003.

 

È anche “senso comune” immaginare che la figura del docente debba assommare in sé una sicura competenza culturale (padroneggiare le conoscenze delle discipline da “insegnare”), ma una ancora più spiccata attitudine alla relazione educativa, al prendersi cura della formazione di bambini e ragazzi in età evolutiva, e un doveroso spessore tecnico-professionale (cioè la capacità di allestire e rinnovare giorno per giorno “ambienti di apprendimento” capaci di coinvolgere e motivare i ragazzi e di produrre efficaci risultati di apprendimento). E non è solo questione di conoscenza delle lingue e delle tecnologie digitali. Trascuriamo poi alcuni tratti attitudinali di fondo (capacità comunicative di base, curiosità intellettuale, propensione all’empatia, gusto per le imprese di squadra, ecc.) che difficilmente possono essere imbrigliate in schematiche procedure concorsuali. Sono qualità che richiederebbero un training osservativo di lungo periodo, ma che oggi vengono richieste in quasi tutte le posizioni professionali. Il TFA (tirocinio formativo attivo), forse, nasce per questo motivo, ma gli effetti si sentiranno solo nel lungo periodo.

 

Caro vecchio concorso…anzi, no

Di fronte a questo ambizioso profilo professionale (che però, detto in altri, termini, si ritrova in sintesi anche nell’art. 27 del Contratto nazionale di lavoro dei docenti, 2006-2009), sembrano assai strette - anche se obbligate - le piste previste dal Bando di concorso in merito alle prove d’esame. Tuttavia si nota il tentativo di rinnovare in parte le procedure concorsuali, per poter far pesare maggiormente la dimensione “professionalizzante” della funzione docente, cioè la capacità di “far vedere” come si eserciterebbe concretamente l’azione didattica in situazione. La simulazione di una lezione (ma la dicitura potrebbe portare fuori strada, se si immaginasse la classica e retorica “lezione frontale” dove il docente si gioca tutto… a prescindere dagli allievi che ha di fronte) è senz’altro una novità apprezzabile e certamente dovrà sondare caratteristiche “operative” del futuro docente, immaginandolo alla prese con una classe di allievi “veri” (seppure simulata). Anche il vetusto tema scritto (già oggetto di feroci strali da uno dei nostri più rinomati linguisti, Tullio De Mauro, viene messo in soffitta. Se il tema favorisce la "verbosità, cioè l'adozione, da parte degli allievi e dei docenti, di formule stereotipiche cristallizzate", come scrive De Mauro nella sua Storia linguistica dell'Italia unita (1963), il suo posto viene preso da più sobrie scritture funzionali, quesiti (si spera) brevi a risposta aperta, che se ben congegnati potrebbero mettere in evidenza capacità di argomentazione sintetiche, essenziali, ma esaustive.

Ma ciò che più fa discutere sono i “famigerati” test strutturati a risposta multipla (in questo caso con 4 opzioni), che stanno alla base della prova pre-selettiva, “imbuto” che si ritiene indispensabile per ridurre l’ampia platea dei potenziali candidati. In questo caso, fanno discutere sia la soglia “assoluta” di accesso predeterminata a priori (dovendosi superare il 70% dei 50 quesiti che compongono la prova), meccanismo che non prefigura nessun tipo di esito finalizzato al proseguimento del concorso (tutti o nessun candidato potrebbero in via di principio superare la prova), ma che semmai enfatizza il parossismo di questa prova iniziale. Pubblicare venti giorni prima l’intero repertorio dei test, che saranno poi distillati nel format personalizzato dei 50 il giorno della prova, apparentemente rassicura i candidati, ma crea un effetto compulsivo di studio degli item dove prevarrà certamente la capacità di gestire tecniche di memorizzazione, piuttosto che il respiro “arioso” dell’argomentazione. Le prove sono orientate a saggiare capacità logiche e capacità di comprensione di testi. Esulano dunque dalle conoscenze di tipo professionale o disciplinare e questo almeno evita la frammentazione di quesiti in una miriade di nozioni specialistiche di scarso significato, come si è visto di fatto per le prove del TFA.

 

La malinconica impotenza dei test…

I test sono stati oggetto recentemente di molteplici critiche, sia che si riferissero all’accertamento degli apprendimenti degli allievi (in particolare in occasione delle prove Invalsi per determinate leve scolastiche, e anche all’interno dell’esame di terza media), sia alle prove per il concorso ispettivo e direttivo, sia all’ammissione ai percorsi TFA per insegnanti o in generale per l’ingresso all’Università. Fin troppo facile infierire sugli scivoloni del testing, come ha fatto S. Bartezzaghi, nel godibilissimo “Fuori di test” pubblicato su “la Repubblica” del 12 agosto 2012. È ormai mitico il quesito di logica apparso alle prove di ammissione della Sapienza per il corso di laurea in professioni sanitarie: “Nei pressi del noto Liceo Tacito di Roma si trova la ‘grattachecca di Sora Maria’ molto nota tra i giovani romani. Sapresti indicare quali sono i gusti tipici serviti? Menta, limone, amarena, cioccolato…”. Ma al di là di queste note di colore, ciò che più lascia perplessi è il meccanismo “convergente” (econometrico, computistico) che si mette in moto di fronte a prove così stringate, veloci e decontestualizzate. Scrive saggiamente W. Passerini in “La bussola che manca ai test universitari” (su “La Stampa” del 4 settembre 2012): “Più che l’apprendimento, i test dovrebbero misurare la capacità di apprendere, la propensione e la motivazione a ‘imparare a impararÈ, a cui si dovrebbe accompagnare, per gli insegnanti, non solo la capacità di insegnare ma quella di ‘insegnare a impararÈ”. Non resta che sperare che la configurazione dei test di logica e di comprensione (cui si aggiungono, in quote più ridotte quelli di lingua straniera e di informatica), sia rappresentativo di quel bagaglio culturale (e mentale) di base che un buon percorso scolastico (e universitario) dovrebbe aver coltivato nel corso degli anni, se ha saputo intrecciare l’approfondimento dei contenuti di conoscenza con la duttilità del pensiero. Forse lo specchio del “buon” insegnante che si voleva reclutare.

 

Oroscopo per il futuro…

Al di là dei congegni concorsuali, che si rivelano sempre un’incognita, soprattutto quando vengono rinnovati, forse merita riflettere sulle prospettive di inserimento di nuovi insegnanti nel mondo della scuola che si potranno aprire nell’immediato futuro. Il saldo di questi anni è fortemente negativo. I dati rispecchiano le politiche di contenimento del personale della scuola, che campeggiavano nell’art. 64 della legge 133/2008, con un saldo negativo atteso nel triennio di 87.000 unità (questo ha comportato anche modifiche strutturali agli ordinamenti del primo e del secondo ciclo). Dunque gli organici vengono rimodulati e diminuiscono le possibilità di turn-over. Il tasso di cessazione dal servizio che si era assestato negli ultimi anni attorno al 3-4% (es. 25.662 cessazioni nel 2010) è destinato ad assottigliarsi ulteriormente a seguito della riforma dei trattamenti pensionistici, mentre la quota di assunzioni è nettamente inferiore agli esodi (es. 9.964 di assunti nell’a.s. 2010-11, pari all’1,5%).

La radiografia più completa risale all’a.s. 2009-10 (MIUR, La scuola in cifre 2009-10, Sistan, Roma, MIUR) e presenta un organico giuridico complessivo di 729.313 posti-docente, a fronte dei quali operavano 678.369 docenti di ruolo e 116.973 docenti non di ruolo (di cui 23.277 con incarico annuale e 93.696 fino al termine delle attività didattiche). Nel 2010-11 la quota di personale di ruolo è scesa a 662.983 unità.

Con questi trend, il mercato del lavoro nella scuola si presenta molto asfittico. Occorrerà attendere l’esodo dell’onda lunga della generazione degli ultra-cinquantenni che però raggiungeranno sempre più lentamente l’età pensionabile. Occorrerà capire se l’organico funzionale di istituto e di rete, di cui si parla generosamente nell’art. 50 della legge 35/2012 (ma che non prevede numeri e risorse ad hoc) diventerà una prospettiva realistica per la nostra scuola. Occorrerà decidere se una misura radicale come sarebbe l’abolizione dell’istituto delle supplenze non possa essere compensata, magari a saldi finanziari invariati, con la definizione di un organico funzionale a tutte le esigenze di un istituto, ivi comprese le sostituzioni, stabilizzando così il personale precario che opera nella scuola.

Con questi “se e ma” (aggravati dal congelamento del Contratto Nazionale di Lavoro) non è possibile pronosticare un credibile scenario futuro. C’è solo da sperare che l’interesse, le domande, le aspettative, i conflitti, le passioni che sta suscitando questa tornata concorsuale possano essere un primo indizio di riscatto per la professione docente, segnale che il lavoro dell’insegnante torna ad essere desiderabile e ambito, non perché c’è poco altro nel mercato del lavoro, ma perché viene considerato decisivo per il riscatto civile, economico e sociale del nostro Paese.

Giancarlo Cerini