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Circolare COVIP 17.09.2020, prot. n. 4209

Ulteriori chiarimenti in tema di "Rendita integrativa temporanea anticipata" (RITA) - Art. 11, commi 4 e seguenti, del Decreto lgs. 252/2005.

Con la presente Circolare si forniscono ulteriori chiarimenti in merito alla disciplina della "Rendita integrativa temporanea anticipata" (RITA) con riguardo ad alcune questioni segnalate dagli operatori successivamente all'adozione delle Circolari n. 888 dell'8 febbraio 2018 e n. 4216 del 12 luglio 2018.

Un primo quesito è stato posto in merito alla possibilità di percepire la RITA da parte degli iscritti titolari di trattamenti pensionistici anticipati (ad es. "Pensione anticipata" "Pensione anticipata Quota 100", "Pensione anticipata Opzione donna", "Pensione anticipata dei cc.dd. Lavoratori precoci") o di anzianità, erogati dagli enti previdenziali di base.

Rilevato che la RITA, in base all'art. 11, comma 4, del Decreto lgs.252/2005, è una modalità di erogazione della prestazione di previdenza complementare fino alla maturazione dei requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia nel sistema pensionistico obbligatorio e che la normativa non contiene un divieto di cumulo o un'espressa incompatibilità con il godimento di trattamenti pensionistici diversi dalla predetta pensione di vecchiaia, si ritiene che la RITA possa essere erogata anche qualora il beneficiario percepisca, al momento dell'istanza o nel corso di erogazione della RITA, pensioni di primo pilastro anticipate o di anzianità.

Un'altra questione riguarda la compatibilità della percezione della RITA con lo svolgimento, in tale periodo, di attività lavorativa di ogni tipologia, in Italia o all'estero (lavoro subordinato, autonomo, assunzione di cariche sociali ecc.).

In proposito, si osserva che la normativa di riferimento prevede che le prestazioni delle forme pensionistiche complementari possono essere erogate in forma di RITA ai lavoratori che, in presenza degli altri requisiti, "cessino l'attività lavorativa e maturino l'età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i cinque anni successivi" o "risultino inoccupati per un periodo di tempo superiore a ventiquattro mesi e che maturino l'età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza entro i dieci anni successivi" (art. 11, commi 4 e 4-bis, del Decreto lgs. 252/2005).

Il requisito della cessazione dell'attività lavorativa, accompagnata, nel caso previsto dal comma 4-bis dell'art. 11, dall'inoccupazione superiore ai ventiquattro mesi, deve quindi sussistere al momento della presentazione della domanda di accesso alla RITA, non essendo precluso all'aderente, in mancanza di una specifica norma che lo vieti, intraprendere successivamente un'attività lavorativa in qualsiasi forma.

È, quindi, da ritenersi possibile lo svolgimento di attività lavorativa nel corso dell'erogazione della prestazione sotto forma di RITA.

Sono stati, altresì, chiesti chiarimenti circa la possibilità di erogare la RITA in un'unica soluzione nei confronti degli aderenti prossimi al compimento dell'età anagrafica per conseguire la pensione di vecchiaia.

In proposito si rileva che, a norma dello stesso art. 11, comma 4, la RITA consiste "nell'erogazione frazionata di un capitale, per il periodo considerato, pari al montante accumulato richiesto". Considerato che la norma è chiara nel prevedere che si tratta di un'erogazione periodica, si reputa che l'elemento della frazionabilità in rate sia un requisito imprescindibile. Pertanto, si ritiene che la RITA non possa essere concessa in tutti quei casi in cui a causa dell'immediata prossimità dell'età per il conseguimento della pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza, non sia possibile attuare un frazionamento in almeno due rate.

Un'altra questione riguarda la possibilità di eventuali versamenti contributivi nel corso di erogazione della RITA. In proposito, considerato che la normativa non prevede alcun limite in merito, sono da ritenersi consentiti versamenti contributivi che, nel caso di RITA parziale, andranno a incrementare il montante non utilizzato per l'erogazione della RITA, mentre in caso di RITA totale andranno a costituire un montante a sé stante nell'ambito del comparto opzionato per l'erogazione di tale prestazione, salvo diversa indicazione dell'iscritto.

Un ulteriore quesito attiene alle modalità di attestazione del requisito dell'inoccupazione, utile per la RITA decennale, di cui all'art. 11, comma 4-bis, del Decreto lgs. 252/2005.

Sul punto si rileva che la COVIP aveva in passato fornito alcuni chiarimenti in risposte a quesiti relativi alle modalità di attestazione dello stato di inoccupazione previsto dall'art. 14, comma 2, lett. b) e c), del Decreto lgs. 252/2005 al fine dell'erogazione del riscatto totale o parziale della posizione.

In quelle occasioni, non potendo collegare il concetto di inoccupazione di cui al Decreto lgs. 252/2005 a quello dell'allora vigente Decreto lgs. 181/2000 che faceva riferimento ai soggetti che non avevano mai svolto un'attività lavorativa, si era ritenuto che assumesse rilievo la sussistenza dello status di disoccupato, in quanto la cessazione di una pregressa attività lavorativa è, per espresso richiamo normativo, condizione per l'accesso al riscatto.

Si era così identificata l'inoccupazione prevista dalla normativa di settore con lo stato di disoccupazione disciplinato dallo stesso Decreto lgs. 181/2000, secondo il quale detto stato consisteva nella condizione di colui che, dopo aver perso un posto di lavoro o cessato un'attività di lavoro autonomo, sia alla ricerca di un'occupazione.

Ai fini poi dell'accertamento di tale status da parte dei fondi pensione, in assenza di specifiche disposizioni normative, si era ritenuto che spettasse al fondo pensione l'individuazione della documentazione più idonea da richiedere all'iscritto, reputando, comunque, congrua l'acquisizione da parte del fondo pensione di un certificato del Centro per l'impiego con indicazione della data di iscrizione alle liste di disoccupazione ed attestazione di permanenza del relativo stato, unitamente a un documento dal quale risultasse la data di cessazione del rapporto di lavoro (es. comunicazione di licenziamento da parte dell'azienda).

Inoltre, avendo presente che lo status di disoccupazione risulta anche comprovabile, ai sensi dell'art. 46, comma 1, lett. r), del DPR 445/2000, mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione e in ragione dell'estensione della normativa in materia di documentazione amministrativa anche ai privati che vi acconsentano (art. 2, comma 1, del medesimo DPR), si era ritenuta ammissibile l'acquisizione da parte dei fondi pensione, in luogo della certificazione, di una dichiarazione dell'iscritto, resa ai sensi del citato art. 46, che attestasse il mancato svolgimento di attività lavorativa per il periodo di tempo previsto dalla normativa.

Ciò premesso, si rileva che il quadro normativo di riferimento relativo agli stati di disoccupazione e inoccupazione è nel frattempo mutato rispetto alle disposizioni prese in considerazione dalla COVIP.

Infatti, in base all'art. 19, comma 1, del Decreto lgs. 150/2015 sono disoccupati "i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all'articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l'impiego.".

Inoltre, l'art. 4, comma 15-quater, del Decreto-legge 4/2019 convertito, con modificazioni, dalla Legge 26/2019, prevede che: "Per le finalità di cui al presente decreto ed ad ogni altro fine, si considerano in stato di disoccupazione anche i lavoratori il cui reddito da lavoro dipendente o autonomo corrisponde a un'imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell'articolo 13 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917".

Le due disposizioni in materia di disoccupazione sono state oggetto di precisazioni da parte dell'Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro-ANPAL che, nella Circolare n. 1 del 23 luglio 2019, ha chiarito che il combinato disposto delle due norme comporta che sono considerati in "stato di disoccupazione", i soggetti che rilasciano la Dichiarazione di immediata disponibilità (DID) e che, alternativamente, soddisfano uno dei seguenti requisiti:

- non svolgono attività lavorativa sia di tipo subordinato che autonomo;

- sono lavoratori il cui reddito da lavoro dipendente o autonomo corrisponde a un'imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell'art. 13 del TUIR (DPR 917/1986).

Con riguardo invece alla condizione di non occupazione, si rileva che il citato art. 19, comma 7, del Decreto lgs. 150/2015 prevede che al fine di evitare l'impropria registrazione come disoccupato da parte di soggetti non disponibili allo svolgimento dell'attività lavorativa, "le norme nazionali o regionali ed i regolamenti comunali che condizionano prestazioni di carattere sociale allo stato di disoccupazione si intendono riferite alla condizione di non occupazione. Sulla base di specifiche convenzioni l'ANPAL consente alle amministrazioni pubbliche interessate l'accesso ai dati essenziali per la verifica telematica della condizione di non occupazione.".

Con Circolari n. 34 del 23 dicembre 2015 e n. 5090 del 4 aprile 2016 il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha precisato che la condizione di non occupazione di cui al citato art. 19, comma 7, fa riferimento alle persone che non svolgono attività lavorativa, in forma subordinata, parasubordinata o autonoma ovvero a coloro che, pur svolgendo una tale attività, ne ricavino un reddito annuo inferiore al reddito minimo escluso da imposizione.

La differenza tra lo stato di disoccupazione e la condizione di inoccupazione consiste, quindi, ora nel rilascio o meno della DID da parte del soggetto che non svolge attività lavorativa (o il cui reddito da lavoro dipendente o autonomo corrisponde a un'imposta lorda pari o inferiore alle detrazioni spettanti ai sensi dell'art. 13 del DPR 917/2016).

Rapportando le definizioni di cui sopra al settore di riferimento, si rileva che l'inoccupazione richiamata dal Decreto lgs. 252/2005 agli artt. 11, comma 4-bis, e 14, comma 2, lett. b) e c), è innanzi tutto collegata a una precedente cessazione dell'attività lavorativa.

Rilevato che soprattutto in caso di richiesta di RITA ex art. 11, comma 4-bis, l'aderente che ha cessato l'attività lavorativa potrebbe non avere interesse a cercare una nuova occupazione e che non sussiste più nell'ordinamento la differenza tra disoccupati e inoccupati basata sulla circostanza che il soggetto abbia o meno svolto nella propria vita un'attività lavorativa, si ritiene ora indifferente che l'iscritto richiedente la RITA o il riscatto totale o parziale della posizione ex art. 14, comma 2, sia disoccupato in senso tecnico, e cioè abbia presentato la DID, ovvero inoccupato nel senso precisato nelle Circolari del Ministero del Lavoro sopra citate, purché lo stesso abbia cessato l'attività lavorativa svolta in precedenza.

La differenza, peraltro, assume rilievo con riferimento alla modalità di attestazione dello stato di disoccupato e della condizione di non occupazione. Il soggetto in stato di disoccupazione può, infatti, dimostrare di aver presentato la DID o, in alternativa, ove il Fondo vi consenta, può presentare una dichiarazione sostituiva di certificazione, essendo lo stato di disoccupazione menzionato nell'art. 46 del DPR 445/2000 tra gli stati autocertificabili.

Viceversa, i soggetti in condizione di non occupazione che non intendono registrarsi come disoccupati potranno certificare la relativa condizione attraverso la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Un'altra questione riguarda la possibilità da parte delle forme pensionistiche complementari di poter accertare la sussistenza del requisito del raggiungimento dell'età anagrafica per la pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio di appartenenza, attraverso dichiarazione resa dall'aderente stesso. Sul punto si ritiene che nulla osti alla possibilità che, laddove alla forma pensionistica complementare non sia nota l'età prevista nel regime obbligatorio per la pensione di vecchiaia, la stessa possa essere indicata da parte dell'aderente.

Con riferimento, poi, alle locuzioni "entro i cinque anni successivi", di cui all'art. 11, comma 4, del Decreto lgs. 252/2005, e "entro i dieci anni successivi", di cui all'art. 11, comma 4-bis, del medesimo Decreto, si fa presente che per il relativo calcolo deve aversi riguardo al momento della richiesta della RITA.

Da ultimo, si ritiene opportuno fornire un chiarimento circa il requisito della "maturazione dei 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, di cui all'art. 11, comma 2, del Decreto lgs. 252/2005", richiamato nella Circolare COVIP n. 888 dell'8 febbraio 2018. Occorre, infatti, adesso tenere presenti le modifiche recate alla norma in parola dall'art. 1, comma 1, lett. a), del Decreto lgs. 88/2018, in tema di lavoratori che si spostano tra Stati membri dell'Unione europea. Laddove ricorrano le condizioni ivi previste sarà, quindi, sufficiente la maturazione di un periodo di 3 anni in luogo degli ordinari 5 anni.